La Cassazione non esclude lo stalking tra vicini di casa

Stalking configurabile anche nei rapporti di vicinato?

Con la pronuncia in commento la Suprema Corte interviene sul confine di rilevanza penale di condotte c.d. “disturbanti” che, ove poste in essere con determinate caratteristiche possono sconfinare dalla mera ipotesi civilistica di atti emulativi, assumendo la qualifica di veri e propri atti persecutori idonei ad integrare la fattispecie di reato di cui all’art. 612 bis c.p., facendo particolare riferimento alla distinzione tra mero “movente” ed effettivo elemento soggettivo doloso.

La Suprema Corte ha infatti ritenuto di accogliere il ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Bologna, per l’effetto rinviando ad altra sezione della Corte d’appello per un nuovo esame.

Viene infatti osservato che la pronuncia della Corte Territoriale, assolvendo l’imputato avrebbe effettuato un’erronea interpretazione del dolo di atti persecutori.

La contestazione mossa all’imputato, infatti, era di aver posto in essere condotte reiterate di minaccia e molestia nei confronti dei vicini di casa, creando disturbo “collegando al telefono della sua abitazione una campana elettrica, installata all’esterno, attivando quotidianamente, ogni mattina un impianto di allarme, tenendo il motore del camion acceso anche per ore sotto le finestre dei vicini, custodendo degli asini con adiacente letamaio a pochi metri dall’abitazione degli stessi, lanciando nel loro giardino sassi e mozziconi di sigaro, e posizionando una latrina mobile sul confine”.

Quanto all’eventuale valenza di mere “inosservanze civilistiche”, la Suprema Corte ha inteso sottolineare il ruolo svolto nella vicenda in esame dalla c.d. finalità persecutoria.

Se infatti la Corte territoriale aveva escluso di riconoscere detta finalità nelle condotte poste in essere dall’imputato, ritenendo di essere invece in presenza di una mera piena esplicazione del diritto di proprietà, la Suprema Corte ha osservato che il ragionamento posto in essere per escludere detta finalità sarebbe frutto di un equivoco.

“In altri termini l’esclusione della connotazione persecutoria delle condotte sarebbe fondata sulla deduzione di “finalità” non persecutorie, ma legate all’esercizio del diritto di proprietà o ad esigenze lavorative […] con un’erronea sovrapposizione concettuale tra la nozione di dolo e qualla di mero movente dell’azione, la causa psichica della condotta umana, lo stimolo che ha indotto l’autore ad agire, facendo scattare la volontà”.

Conclude pertanto la Suprema Corte, rimandando ad altra sezione della Corte d’Appello per una nuova valutazione circa la sussistenza dell’elemento soggettivo doloso, osservando che “il movente è la causa psichica della condotta umana e costituisce lo stimolo che ha indotto l’individuo ad agire; esso va distinto dal dolo, che è l’elemento costitutivo del reato e riguarda la sfera della rappresentazione e volizione dell’evento”.

avv. Giorgio Passarin

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